Mark Haddon, Una cosa da nulla – 2006
Padre, madre, figlio, figlia, fidanzati, mariti, nipoti, amanti. Possono sembrare troppo personaggi per un romanzo solo, ma Haddon sa scrivere, sa alternare situazioni, caratteri e psicologie evitando la confusione e la cacofonia.
È il classico romanzo in cui in ogni personaggio si rivede un po’ di se stessi, dei propri familiari, degli amici, una storia in cui si capiscono i percorsi logici che ci portano a decidere di buttarci nel baratro, di aggirarlo, di saltarlo al modo di Thelma e Louise. Qualcuno è pietrificato dalle difficoltà, dalle paure, dalla novità, per altri sono la spinta per vivere, per altri ancora sono l’unico modo in cui si sa vivere.
È una narrazione veloce, ricca e divertente, cinica, così cinica da risultare a tratti liberatoria, quando Haddon riesce a farci riflettere su che quel pensiero che ci circola in testa e che non esprimiamo per cortesia, per educazione, perché dobbiamo essere politically correct.
Avvicinandomi alla fine ho provato un sentimento per me molto raro, correre per il carico di curiosità e frenare per il dispiacere di arrivare a pagina 358.
Una cosa da nulla non è sorprendente e originale come la prima opera (Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, un libro che non può mancare nella vostra libreria e che sto rileggendo), viaggia su un piano differente, non quello della diversità e del disagio come risorsa, ma su quello del capovolgimento della normalità comunemente condivisa e accettata, per arrivare ad una anormale-normalità.
I capitoli brevi (144) e la mole complessiva (358 pagine), la capacità di farci riflettere profondamente ma in modo piacevolmente leggero, ne fanno il romanzo ideale per qualsiasi momento (vacanza lunga o breve, i classici dieci minuti la sera prima di spegnere la luce, tragitto breve…)